Un anno fa l’Italia entrava in lockdown. Quanto ci è costata la pandemia?
La Banca d’Italia stima il fallimento di 6.500 aziende entro il 2022, mentre per il Consiglio Nazionale dei Commercialisti il 2020 ci è costato in media circa 5.420 euro a testa. Conseguenze gravi anche sul mercato del lavoro.
Più povera, più fragile e meno equa. Così appare l’Italia ad un anno dall’esplosione della pandemia da Covid 19. Era il 9 marzo del 2020 quando, increduli, entravamo in “lockdown”, 18 giorni dopo la ‘notte zero’ nel Lodigiano da cui l’Italia si era svegliata scoprendo che il virus le era entrato in casa. Fino ad allora, guardavamo con distacco alla Cina, al massimo all’Estremo oriente, e se qualcuno ci avesse detto che un nemico invisibile si sarebbe insinuato subdolamente nelle nostre vite limitando pesantemente la nostra libertà individuale, affossando l’economia e azzoppando il mercato del lavoro, gli avremmo dato del matto. Eppure è iniziato un incubo e per molti lo è ancora. L’anno “segnato” dal Coronavirus, infatti, è stato una batosta per gli italiani. Nelle prime settimane di lockdown, chiusi nelle nostre case trasformate in pochi giorni in uffici e postazioni di lavoro improvvisate, ci chiedevamo cosa sarebbe cambiato per sempre.
Ma quanto ci è costato il 2020?
Secondo Bankitalia, la recessione indotta dalla pandemia è la più grave della storia italiana contemporanea. Anche se molte aziende sono sopravvissute grazie agli interventi del Governo e nel 2020, nel paradosso, hanno portato i libri in tribunale un terzo di società in meno rispetto all’anno precedente, tra qui e il prossimo anno i nodi verranno al pettine. L’istituto di credito, infatti, nella Nota sui “Fallimenti d’impresa in epoca Covid”, stima che entro il 2022 rischiano di fallire 6.500 aziende.
Secondo Confesercenti, inoltre, nell’ultimo anno il fatturato complessivo del mondo del commercio è crollato del 40%, con picchi del 70% per il settore alberghiero, del 60 per bar e ristoranti, e addirittura del 90 per il turismo, un comparto quasi completamente cancellato dall’emergenza sanitaria. La ripercussione della pandemia sulle tasche dei cittadini italiani si può anche riassumere in alcune cifre: il 2020 ci è costato in media circa 5.420 euro a testa, di cui 2.371 euro di minore Pil pro capite e i restanti 3.049 euro di incremento di debito. Come emerge dallo studio ‘Il debito pubblico italiano e il Covid-19’, realizzato dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti che ha misurato l’impatto dell’emergenza sull’economia italiana mettendola a confronto con quella dei paesi del G20.
Conseguenze pesanti anche nel mercato del lavoro.
Il prezzo più alto della crisi lo hanno pagato giovani e donne. Lo ha messo in evidenza, da ultimo, il Cnel nel Rapporto sul mercato del lavoro che ha fotografato l’annus horribilis dell’emergenza sanitaria, dei lockdown, dello smart working. Lo stesso allarme è stato lanciato dal Censis nel capitolo “La società italiana al 2020” del 54° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese . Secondo il Cnel, inoltre. la situazione rischia di diventare «esplosiva» nei prossimi mesi con la fine del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione con causale Covid.
Insomma, in ogni campo ancora oggi navighiamo a vista, senza un orizzonte chiaro e definito.
La pandemia ci ha insegnato tante cose.
Ognuno ha il diritto di fare il suo personale elenco. Dopo due ondate (e con lo spettro di una terza che si avvicina) ed oltre 95mila morti, abbiamo imparato a non salutarci stringendoci la mano o toccandoci il gomito, riconosciamo la giusta distanza da tenere all’interno di un luogo chiuso, e in alcuni casi limitiamo in maniera autonoma certi comportamenti che non ci sembrano più sicuri. Ci sappiamo (più o meno) destreggiare con parole e concetti come indice Rt, droplets, lockdown, anticorpi, tamponi e test sierologici, ma anche Mes, Recovery Fund, riponendo le speranze più rosee nel nuovo Governo Draghi. Una volta che avremo raggiunto un numero di vaccinati che consentirà di frenare notevolmente la circolazione del virus, potremo forse riunirci e tornare a vivere in contesti di socialità, ma per il momento restano i sacrifici e la quotidianità con cui fare i conti. Quel che è certo è che ritorneranno, in un futuro più o meno lontano, i baci e gli abbracci, così come le strette di mano. Perché, come già scrisse il filosofo greco Aristotele (IV secolo A.C.) nella sua “Politica”, l’uomo è un animale sociale.