C’è ancora spazio tra la trivialità ridanciana alla Pio e Amedeo e le tentazioni tracimanti del politicamente corretto?
Lo spazio sempre più stretto tra trivialità e neopuritanesimo
In questo Paese di ignoranti uno che riesce a distinguere un condizionale da un congiuntivo rischia di passare da intellettuale, sentenziava il compianto Enrico Vaime qualche anno fa.
Poi le cose sono andata forse anche peggio e oggi ci sono blasonate scrittrici e affermati scrittori che devono fama e successo più al fatto di essere diventati la personificazione di una causa, quasi sempre nobilissima, che alla propria prosa. Talvolta sale il sospetto che spogliati da questa militanza si scoprirebbe nella loro nudezza un modesto spessore letterario. Meglio non provare e tenere coperte le membra e vivo il dubbio, per chi ce l’ha (n.b. non vi è nessun riferimento a Roberto Saviano che, detto senza ironia, è bravo; Gomorra è un bel libro e anche l’incipit di ZeroZeroZero è molto buono. Non è qui una questione chiusa nella storica contrapposizione quasi fideista tra antisavianisti e savianisti, ma altro).
Ci sono però almeno due questioni che vale la pena riportare a corollario.
La prima l’ha indicata – assieme ad altre lucide osservazioni – Walter Siti in una recente intervista all’Huffpost Italia.
Dall’alto della sua libertà e dei suoi giovani settantaquattro anni Siti ha denunciato – con toni gentili ma fermi – che questo impegno “politico”, questo fare il gioco dei paladini di una specifica causa favorisce la riconoscibilità, la profilazione, i like, la notorietà, forse le vendite, ma nuoce gravemente alla letteratura.
E – si può osare aggiungere – ha il sapore di una resa. Un cedimento totale alla possibilità di sperimentare lo scrivere senza altra finalità, di scrivere senza seguire la mission, rischiando così di proporre finanche opere sorprendentemente apprezzabili.
L’altro corollario è che una certa schiera di novelli intellettuali, militando, alla fine guidano anche quella che è la crociata contemporanea del neopuritanesimo, alla ricerca ossessiva di nuovi campi della parola da invadere con la bacchetta professorale e il rigore dei più buoni.
Chiudono a possibili sorrisi di complicità anche espressioni acquisite da secoli come neutre, ergendosi a moderni censori, immuni da errori perché illuminati dalla pretesa di porsi progressisti. E si fanno interpreti di una tendenza triste.
E delle più perniciose, perché crea una tenaglia con la sua contrapposta: la reviviscenza dello spregio orgoglioso di genere, per le minoranze, per il diverso. Rigurgiti variamente fascisti, per intendersi.
Questo e quello assieme – con tutti i distinguo e bla bla e bla – si stringono pesantemente e rischiano di rompere un equilibrio essenziale tra sensibilità dei singoli e libertà di espressione, un equilibrio complesso e sempre mobile, ma che mai deve aver avuto nemici così agguerriti a destra e a manca.
Pio e Amedeo hanno torto, c’è tuttavia un tabù a sinistra
Pure se non si segue la trivialità comica di Pio e Amedeo può essere capitato di sentire che nei giorni scorsi nella trasmissione “Felicissima sera” in onda sui canali Mediaset hanno imbastito un pezzo contro il politicamente corretto che ha fatto molto discutere. Amedeo, con Pio a fargli da spalla, lamenta che oggi non si può più parlare chiaro, dire pane al pane e ricchion* al ricchion* e sentenzia che vale l’intenzione più che la parola, che parlare deve essere libero, da lottare è la cattiveria. Conclude con un invito a chi riceva offese perché appartiene a categorie quali ne(*)ri, ricchion*, genoves*, altri: ridete in faccia a chi parla per offendere e puf tutto assumerà un altro colore.
Facile a dirsi, più difficile a farsi. Il pezzo non fa ridere ma polarizza, ha fidelizzato ulteriormente un certo pubblico, ha ricevuto le prevedibili reazioni sorprese, offese, a loro volta in alcuni casi offendenti, da parte di tutte le minoranze citate e di tutta la sinistra che si sarebbe schierata con Fedez in un giro di sol-e. Pio e Amedeo hanno torto perché banalizzano questioni complesse, si è fatto notare, perché non conoscono le sofferenze di chi ha subito o subisce le offese citate, si è aggiunto. Nessuno che, pure a mente fredda, risulta si sia spinto a dire che tuttavia un tabù a sinistra esiste e che, complici alcuni elevati intellettuali, si va facendo sempre più rilevante.
Come salvarsi dalle tentazioni fanatiche del politicamente corretto
Qual è il confine tra il rischio di offesa e di discriminazione e quello di eccesso di zelo, ossessione perniciosa per la forma?
La questione sta tutta lì, così mentre da una parte si rivendica la libertà di essere triviali in nome di una pretesa e bonaria ironia da caserma, dall’altra si discute su quanto possa essere offensivo chiedere a qualcuno da dove vieni, perché la domanda vorrebbe ancorare irrimediabilmente l’identità alla provenienza geografica. Fate attenzione a quel che dite la prossima volta che incontrate qualcuno. C’è in giro una sensibilità che travalica ogni confine e invade la quotidianità, la storia, l’arte.
Si pongono e si impongono i trigger warning a segnalare nei libri, quelli sì, colonne portanti di una cultura eppure figli del loro tempo, le pagine che includono contenuti potenzialmente offensivi o politicamente poco corretti. Attenzione, nelle prossime pagine Ulisse potrebbe urtare la vostra sensibilità, badate bene che tra poco Otello fa una cosa brutta brutta, tutto segnato con un bollino. Non è uno scherzo, lo hanno fatto davvero, per Shakespeare per esempio, e non in un luogo qualunque bensì a Cambridge, per proteggere i cuccioli umani che vi ci studiano. Piccolini.
Si va a immaginare e a dare corso finanche a forme di culture cancel, che identificando l’opera d’arte con il suo autore, vogliono cancellare quelli che si sono macchiati di reati o anche solo di comportamenti inappropriati dalla storia e tutta quanta la loro magnifica produzione dal patrimonio dell’umanità. Oggi così come nei secoli scorsi, con un revisionismo che ne fa la “più infelice religione del mondo” a riprendere le parole di Nick Cave. Via l’opera immensa di Philippe Roth e la sua recente biografia allora, via Viaggio al termine della notte e tutto Celine, via tutta la filmografia di Woody Allen e la sua pellicola più recente, via tutto, via il meglio.
Il puritanesimo statunitense ha fatto proseliti anche nella vecchia Europa, che stenta a reagire.
Bene ha detto Elisabetta Sgarbi che ha pubblicato in Italia l’autobiografia di Allen per La Nave di Teseo. Tanto più crescono l’immoralità e l’ignoranza tanto più prosperano il moralismo e la censura.
Le uniche categorie alle quali risponde un’opera, si può aggiungere, riguardano il bello e il brutto. Se un’opera è bella chi se ne frega della biografia del suo autore. Lo stesso vale per l’ironia: se fa ridere non c’è Murgia che tenga. Googlare Zalone o – per i palati più fini – una pezza di Lundini. Tra sei mesi si valuterà prescrizione di due gocce degli Squallor. La sera, prima di andare a dormire.