La sfida della digitalizzazione del Paese, Governo a lavoro. Ma qual è la situazione attuale?
Bollino rosso per velocità di connessione e per la PA. Il privato mette l’acceleratore
È la grande sfida di Mario Draghi: realizzare il processo di digitalizzazione del Paese. Il Presidente ne ha parlato già nel suo discorso di insediamento al Senato quando ha indicato il tema come elemento strategico della sua agenda di Governo. Accogliendo le istanze europee, Draghi ha intenzione di dotare il Paese di importanti strumenti tecnologici come le reti di comunicazione 5G, la banda larga e il cloud computing. Oggi la possibilità di cambiare registro arriva dal Recovery Plan. Il budget che l’Italia metterà in campo per accelerare gli investimenti sulle infrastrutture digitali, ricorrendo alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ammonta a 6,3 miliardi, destinati alla fibra ottica e al 5G. I fondi sono inseriti all’interno del molto più ampio capitolo “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura”, per cui lo stanziamento complessivo è pari a 49,2 miliardi di euro.
Le ricadute sul PIL
Un processo che potrebbe portare ad un incremento di ben 12 punti percentuali del PIL italiano nel 2027. Lo dice il nuovo report “Digitalisation: An opportunity for Europe”, commissionato da Vodafone e condotto da Deloitte. Lo studio, in particolare, tiene conto del cosiddetto DESI, il Digital Economy and Society Index, un indice della Commissione europea che analizza cinque misure chiave quali connettività, capitale umano, uso dei servizi Internet, integrazione della tecnologia digitale e servizi pubblici digitali. Per Deloitte, anche modesti miglioramenti su questi cinque parametri possono avere un impatto notevole. E i Paesi che hanno attualmente punteggi bassi nell’Indice – come l’Italia – sono quelli che otterranno i vantaggi maggiori, con un incremento del PIL e della produttività sopra la media stimata per tutta l’Ue. Secondo il report, oggi il Bel Paese figura al 25° posto sulle 28 posizioni della classifica. Il punteggio italiano è di 41,6 punti su una media europea di 52,6.
Le difficoltà che la pandemia ha fatto emergere con forza riguardano soprattutto la velocità di connessione a cui hanno accesso le famiglie e la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Con buona parte degli italiani in smart working e l’introduzione della didattica a distanza per gli studenti, infatti, l’accesso a una connessione internet stabile da casa è diventato un elemento fondamentale, perché necessario allo svolgimento delle attività quotidiane.
La rete internet in Italia
Una rete di infrastrutture digitali efficiente – sia a livello scolastico che della pubblica amministrazione – è uno degli obiettivi del Next generation Eu. Il piano europeo per la ripresa economica dalla pandemia prevede infatti che gli stati investano il 20% delle risorse ricevute in un percorso di effettiva transizione digitale. Come ha sottolineato il ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, Vittorio Colao, l’Italia potrà investire più di 40 miliardi nel piano di transizione digitale. Nell’ultima commissione parlamentare congiunta al Senato dello scorso 18 marzo, è emersa la situazione critica in cui molti territori versano in materia di accesso a internet. Se è vero che la banda larga di base è diffusa in tutti i comuni, con il 95,1% delle famiglie italiane raggiunte, all’aumentare della velocità della rete fissa la quota diminuisce. Solo il 68,5% ha potenziale accesso alla banda larga veloce (sopra i 30 Mbps) e ancora meno, il 36,8%, è raggiunto da quella ultraveloce (sopra i 100 Mbps).
La situazione nella Pubblica Amministrazione
Ed è chiaro che l’innovazione si attua innanzitutto attraverso la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche. Ma in Italia c’è ancora molta strada da fare per un vero rinnovamento tecnologico della PA: il Paese si trascina da tempo problemi in termini di governance, di coordinamento tra gli uffici pubblici, di scollamento tra i diversi enti, oltre a una scarsa competenza dei cittadini.
Il 28 febbraio scorso era fissato il termine ultimo previsto dal Decreto “Semplificazioni” entro il quale le PA italiane avrebbero dovuto integrare nei propri sistemi informativi SPID e CIE come unici sistema di identificazione per l’accesso ai servizi digitali, cessando contestualmente il rilascio di credenziali differenti da questi due strumenti; integrare la piattaforma pagoPA nei sistemi di incasso per la riscossione delle proprie entrate; avviare i progetti di trasformazione digitale necessari per rendere disponibili i propri servizi sull’App IO.
Come è andata? La rilevazione condotta da FPA dimostra che buona parte delle amministrazioni non sono riuscite a rispettare la deadline che, nelle intenzioni del Governo, avrebbe dovuto rappresentare un vero e proprio punto di non ritorno verso quello switch off digitale da tempo auspicato. Ad oggi le amministrazioni che consentono l’accesso ai servizi online anche attraverso SPID sono poco meno di 6.300,su una platea complessiva di oltre 20.000 enti pubblici. Più alto il dato relativo alle amministrazioni attive suPagoPA, poco più di 18.000, ma quelle che hanno riscosso pagamenti su pagoPA per almeno un servizio, sono poco meno di 8.800. Insomma, qualche passo in avanti si è fatto, ma ancora non basta
La spinta nel settore privato
L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha impresso una generale accelerazione alla digitalizzazione delle imprese. Durante l’emergenza, il digitale ha rappresentato una condizione necessaria per rimanere competitivi e per sopravvivere. Le Pmi hanno accelerato alcuni aspetti della trasformazione digitale, volti in particolare ad efficientare le risorse e ridurre i costi e garantire flessibilità nel lavoro.
Il report elaborato dall’Osservatorio Qonto traccia il quadro del tasso di digitalizzazione tra le Pmi italiane, evidenziando come nel corso del 2020 la maggioranza delle imprese intervistate abbia compreso l’importanza di dotarsi di strumenti digitali utili a proseguire la propria attività: ha destinato alla digitalizzazione più del 10% del proprio budget e il 50% una quota superiore al 30%. Un trend che si conferma anche per quest’anno: il 70% del campione intervistato prevede un ulteriore sviluppo digitale nel 2021, con l’introduzione di soluzioni per rendere ancora più digitalizzata la propria azienda. La sfida per il futuro, però, sarà passare da un approccio reattivo all’emergenza ad un approccio strategico e di lungo periodo, estendendo la digitalizzazione ai diversi processi e rivedendo i modelli di business.
Ed è con questo approccio che nei giorni scorsi la Tim ha lanciato il progetto ‘Smart District’ con l’obiettivo di accelerare il processo di trasformazione digitale e promuoverne la competitività negli oltre 140 distretti del Paese. La multinazionale delle telecomunicazioni partirà da alcuni dei distretti in cui si sviluppano le filiere più rappresentative del ‘made in Italy’ come il tessile di Carpi (Modena), Ascoli Piceno, Barletta e Minervino Murge; il calzaturiero del Fermano; l’industria meccanica di Schio (Vicenza), Borgomanero (Novara) e Rivarolo Canavese (Torino) con l’obiettivo di estendere l’iniziativa su tutte le aree industriali del Paese.