Perché è il tempo di rinvigorire i corpi intermedi
Come stanno i corpi intermedi
La salute dei corpi intermedi è una cartina tornasole fondamentale sullo stato della democrazia di un Paese.
In Italia il progressivo indebolimento di queste “formazioni sociali” che rappresentano centri di interesse e di rappresentanza, (sindacati e associazioni datoriali su tutte), ha radici ormai antiche e cause per lo più note.
Questo potrebbe essere, tuttavia, il tempo giusto per dare loro nuovo vigore, per diverse e concordanti ragioni.
In primis sembra passata la fase più acuta della furia giustizialista che, partendo dalla necessità – reale – di riformare la politica e tutta la rappresentanza ripulendola da privilegi, gestioni opache, malfunzionamenti, sembrava giunta fino al limite estremo; quello che presuppone una smania larga a buttare le mani, a sacrificare finanche elementi essenziali della democrazia, pur di essere certi che nessuno avesse più occasione di sottrarre un euro che fosse uno.
In quel contesto, con alcune forme di populismo ad agitare la rabbia diffusa, parlare di rilancio dei corpi intermedi, di rappresentanza sindacale, di associazioni di imprese, sarebbe stato completamente fuori tema.
La situazione attuale è profondamente diversa e si respira, tolti i miasmi di antagonismi speculativi, una diffusa volontà di collaborare responsabilmente anche con chi si ha poco da spartire, secondo uno spirito invalso sempre o quasi nei periodi che seguono crisi economiche e sociali come quella più recente.
Il secondo elemento a favore è rappresentato dal ruolo che hanno svolto tanti corpi intermedi in fase di pandemia e che ancora sono chiamati a svolgere per questioni sempre nuove che si pongono, sia per affrontare le contingenze (greenpass e accesso ai luoghi del lavoro, per esempio), sia per sviluppare percorsi che guardino in maniera stabile alle nuove sfide già in corso (il lavoro “ibrido”; la progressiva automazione, la pervasiva digitalizzazione e i loro effetti su tanti, variegati fronti; il concetto stesso di cosa sia oggi il lavoro).
Molti lavoratori hanno trovato poi nei sindacati risposte che non sono riusciti ad avere altrove e lo stesso è accaduto per gli imprenditori con le associazioni datoriali, a riprova della estrema utilità di tenere assieme, collegati, il ruolo di rappresentanza con quello di servizio per qualunque corpo intermedio.
Fiducia bassa ma strategici per ripartenza
La fiducia ha margini elevati di miglioramento, per carità, visto che per le associazioni datoriali si stima sia al 24% e per i sindacati al 18% (i dati sono dell’Ipsos e integrano i seguenti: il 65% degli italiani ha fiducia nelle forze armate, il 59% nella scuola, il 58% in Papa Francesco, il 56% nel Presidente della Repubblica e il 53% nelle Regioni, il 23% nelle banche e il 17% nei partiti politici). fonte
E, tuttavia, i corpi intermedi vengono comunque ritenuti assolutamente strategici per la ripartenza dal 70% degli italiani. Così emerge da una ricerca condotta da Ipsos per Fondazione Astrid e Fondazione per la Sussidiarietà, che fa parte di uno studio più ampio in cui è coinvolto anche il Laboratorio di Secondo Welfare. E la sensazione diffusa è che la stima sia anch’essa in crescita.
Per far sì che dalla sensazione si passi a dati verificati occorre, come sempre, che ciascuno svolga al meglio il proprio ruolo. Le Istituzioni e gli stessi corpi intermedi sopra a tutti.
Questi ultimi sono chiamati, evidentemente, a cambiare pelle e ad abbandonare, laddove ancora presenti, gli ormeggi per intraprendere in maniera più convinta una capacità di individuazione, di ascolto e di rilancio delle esigenze dei loro rappresentanti che sono molto cambiate nel tempo e che continuano a cambiare rapidamente.
Emblematiche sono per esempio le nuove forme di lavoro per i sindacati (tramite piattaforma, per esempio) e le peculiarità delle aziende native digitali (snelle, che vendono in tutto il mondo da angoli remoti, per esempio) per chi rappresenta associazioni datoriali.
La questione atavica della Rappresentanza e il ginepraio di Ccnl
Al Governo e al Parlamento spetta un compito gravoso e a lungo rimandato: intervenire sulla questione intorno alla quale ruota la più parte delle storture dei corpi intermedi: la rappresentanza. Per un periodo lungo e per ragioni quasi mai nobili si è assistito al proliferare di sigle, datoriali e sindacali, per le quali la foglia di fico della libertà di rappresentanza ha finito per coprire la diffusione di comportamenti quanto meno discutibili. Da questo ginepraio di sigle, per lo più sconosciute e spesso meno rappresentative di alcuni condomini urbani, ha preso la stura l’affollamento di tavoli istituzionali oltre ogni ragionevole volontà di democrazia e soprattutto la proliferazione di Contratti
Collettivi Nazionali troppo spesso funzionali solo a fare dumping sociale, ovvero a prevedere condizioni peggiorative rispetto ai Ccnl firmati dalle principali associazioni di rappresentanza.
Secondo la Cgia di Mestre, su 935 Contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) vigenti e depositati al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro quasi un quarto (351) è stato firmato da associazioni datoriali e organizzazioni sindacali che non sono riconosciute dallo stesso Cnel. Su tutti svettano due settori: l’edilizia, per la quale dei 74 (settantaquattro) Contratti Collettivi depositati, 37 – esattamente la metà – è firmato da organizzazioni sconosciute, e i servizi di pulizia: su 50 contratti (cinquanta), 23 li sottoscrivono sigle ignote.
Che la reputazione di associazioni di categoria e sindacati più rappresentativi non dipenda esclusivamente da questi fenomeni è fuor di dubbio. Cominciare da qui e – contestualmente – dare uno slancio nuovo al concetto stesso di rappresentanza in un tempo che spinge verso la disintermediazione in tutti gli ambiti, tuttavia, può essere salvifico. Non solo per i corpi intermedi ma anche per la cara, vecchia, malandata, democrazia.