Economia e giustizia tra “valore” dell’illegalità e “peso” delle inefficienze territoriali
La pandemia non ha solo creato nuovi e gravi problemi sanitari, economici e sociali, ma ha anche ampliato le conseguenze negative di numerosi fenomeni già esistenti. Tra queste, sicuramente, c’è l’incremento delle attività illegali e dell’utilizzo della corruzione da parte delle organizzazioni criminali.
A realizzare un focus sull’argomento è la Svimez, nel suo Rapporto 2021, che evidenzia come da sempre le organizzazioni criminali si adattino al momento storico in cui operano e al contesto economico- sociale di riferimento. E come lo abbiano fatto anche in questi due anni di lockdown, cambiando ulteriormente la “distribuzione delle loro attività”.
Le attività illegali
Il crimine organizzato e mafioso ha esteso il proprio raggio d’azione sull’economia legale cercando di inserire ovunque possibile le attività proprie dell’economia criminale, sfruttando le emergenze per corrompere, infiltrarsi nelle attività economiche e impadronirsi di ogni opportunità di riciclare danaro sporco, sviluppare l’attività usuraia in rapporto al sovraindebitamento delle famiglie, acquisire attività commerciali o aziende in crisi subentrando nella gestione delle imprese o camuffando la propria presenza attraverso cambi di proprietà e titolarità delle imprese.
In questa “nuova distribuzione” delle attività criminali, segnala la Svimez, c’è stato un rallentamento delle cosìddette attività criminali di primo livello, vale a dire traffico di droga, estorsione, ricettazione e rapine, mentre sono notevolmente aumentate riciclaggio e corruzione.
La grande disponibilità di denaro, derivante dagli strumenti finanziari europei messi a disposizione per fronteggiare la crisi e da reinvestire in attività lecite, è diventata uno strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti. I massicci investimenti pubblici necessari per superare la crisi, insieme alla compressione dei tempi di esecuzione dei lavori e alla semplificazione delle procedure, hanno dato nuova linfa al sistema corruttivo delle organizzazioni criminali che, approfittando delle deroghe al codice appalti e al codice antimafia, si sono infiltrate ancora di più negli appalti pubblici.
Codice appalti e antimafia: rischio deroghe
La mafia, secondo il rapporto Svimez, si trasforma sempre più in impresa e dimostra la sua capacità di operare in maniera imprenditoriale, nel breve nel medio e nel lungo periodo, in Italia e all’estero, senza confini di settore e anche nei rapporti con le Pubbliche Amministrazioni.
Uno dei settori più interessati dalla corruzione è stato quello della sanità pubblica, tra appalti e servizi, ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e attività di lobbying, con i rischi di influenzare il mercato dei prodotti sanitari come ad esempio mascherine e dispositivi di protezione ed equipaggiamento medico, utili anche come mezzo per facilitare altri reati legati alla corruzione come ad esempio il riciclaggio di denaro.
La Svimez mette in guardia infine dal rischio di inserire deroghe al codice appalti e al codice antimafia con relative discipline, messe a punto per ridurre il rischio di corruzione ma che rischierebbero di aprire le maglie a infiltrazioni delle organizzazioni criminali.
Tribunali e divari di efficienza fra Nord e Sud
Una volta scovata l’illegalità, subentra però un nuovo problema in termini di competitività del sistema Paese e cioè il diverso funzionamento del sistema giustizia nelle varie aree territoriali. Tempi dei processi troppo lunghi e bassi livelli di performance dei tribunali possono deteriorare il business environment di un territorio influenzando le decisioni di investimento degli operatori nazionali ed esteri. E non a caso nel Pnrr la riforma della giustizia, insieme a quella della Pubblica Amministrazione, è considerata la necessaria precondizione per garantire all’Italia maggiore competitività, aumentare l’attrattività per gli investimenti.
Il fattore tempo e la capacità di smaltimento delle cause da parte dei tribunali italiani è un tema, evidenzia in pratica la Svimez. Una giustizia efficiente può diventare fattore fondamentale per la crescita, a maggior ragione di territori in ritardo di sviluppo come il Sud
Qualche dato: per chiudere un processo civile in Italia sono necessari 382 giorni, meno dei 467 richiesti nel 2004, ma sono evidenti i divari di efficienza territoriale: nel 2019 (dati pesati per la popolazione) per chiudere un procedimento civile occorrevano circa 280 giorni nei tribunali del Nord, 380 al Centro e 500 nel Mezzogiorno, ancora quasi il doppio del Nord nonostante negli ultimi 15 anni ci sia stata una buona riduzione e considerato che nel 2004 i giorni necessari per chiudere un procedimento erano 650. Peggiorano i tempi necessari per chiudere un processo penale: 356 giorni nel 2004 e 405 nel 2019. E restano consistenti anche qui i divari di efficienza territoriale: al Nord sono necessari 290 giorni, 450 al Centro e 475 giorni nel Mezzogiorno.