Capitale umano e istruzione: quando ci si (dis)perde sulla strada per la scuola
Il capitale umano è uno dei principali fattori di crescita e innovazione. E’ una opinione comune. Lo conferma anche l’Unione europea nella sua strategia comunitaria per costruire Il capitale umano è uno dei principali fattori di crescita e innovazione. E’ una opinione comune. Lo conferma anche l’Unione europea nella sua strategia comunitaria per costruire una società della conoscenza, e lo ribadisce nel piano Next generation. Proprio per questo i divari territoriali esistenti nelle politiche di istruzione e formazione e i relativi diversi risultati possono avere conseguenze anche sul diverso, minore o maggiore, mancato o esponenziale sviluppo dei territori.
SPESA
Nel suo ultimo rapporto la Svimez evidenzia come nel 2020 il differenziale nei tassi di occupazione tra le persone di 25-64 anni che hanno raggiunto il titolo terziario e quelle che posseggono al massimo un titolo secondario inferiore è di 29,1 punti in Italia sia sostanzialmente in linea con la media Ue (29 punti). Ma andando a disaggregare il dato nazionale, si scopre che il divario sale a 33,6 nel Mezzogiorno e scende a 22,9 punti nel Centro-Nord.
Il premio dell’istruzione – inteso come aumento delle probabilità di trovare un’occupazione al crescere dei livelli di istruzione – è pari a 18,8 punti nel passaggio al titolo secondario superiore e a 10,3 punti nel confronto tra quest’ultimo ed il titolo terziario. Ciò nonostante la spesa in istruzione è passata da 60 miliardi del biennio 2007-2008 ai 50 miliardi degli ultimi due anni, meno 15%.
Non è casuale quindi che nel confronto internazionale l’Italia si trovi agli ultimi posti sia come spesa per studente che come spesa in istruzione in rapporto al Pil, e il divario con i principali paesi cresce passando dalla scuola primaria all’istruzione terziaria.
PROBLEMI
L’Ocse evidenzia l’esiguità di risorse investite: nel 2018 solo lo 0,90% del Pil, molto meno della media Ocse (1,42%). Nel 2010 la spesa era lo 0,99% del Pil. La flessione ha interessato solo le risorse pubbliche, scese da 0,76 a 0,60%, mentre è cresciuto – ma senza riuscire a compensare il valore totale – lo sforzo degli attori privati (famiglie), salito da 0,23 a 0,32%. L’Italia è tra i paesi con la popolazione meno istruita anche con riferimento alle generazioni più giovani: tra i 25-34enni solo il 28,9% è in possesso di un titolo terziario, mentre la media UE 27 è al 40,5%. Le quote del 2008, rispettivamente del 19,9 e del 29,9%, testimoniano come nell’ultimo periodo la quota dell’Italia sia salita meno velocemente (https://www.osce.org/it).
Il secondo problema dell’Italia riguarda lo scarso accesso da parte della platea studentesca ai titoli terziari brevi e professionalizzanti, piuttosto diffusi invece all’estero. Il ritardo italiano sulla scena internazionale chiama in causa non solo una minore domanda di istruzione da parte degli individui, ma anche un’offerta scarsamente differenziata di percorsi formativi da parte delle istituzioni educative solo in piccola parte compensati dai corsi post-secondari (ITS), molto sostenuti nel PNRR, e dalle lauree professionalizzanti (LP) ancora in fase di sviluppo.
In Italia resta sottodimensionata anche l’offerta pubblica dei due estremi del sistema formativo, e cioè i servizi socioeducativi per l’infanzia, da un lato, e l’istruzione terziaria, dall’altro. Il Sud sconta in particolare la forte carenza di asili nido pubblici (44,7% dei posti autorizzati a fronte del 51,3% del Centro-Nord) e l’alto costo di quelli privati. Ancora maggiore il divario in termini di spesa pro capite: al Sud è quattro volte inferiore (346 euro per bambino a fronte di 1.210 nel Centro-Nord).
Il target della strategia di Lisbona che prevedeva il raggiungimento nel 2010 di una quota dell’85% dei giovani tra i 20 ed i 24 anni con almeno un diploma di scuola secondaria superiore è praticamente raggiunto per le regioni del Centro-Nord (84,9%), mentre è ancora distante, seppur in forte crescita nell’ultimo anno per quelle del Mezzogiorno (80,2% nel 2020, era 77,7% nel 2019).
GLI ABBANDONI
Nel 2020 ancora circa 543 mila giovani, di cui 253 mila nel Mezzogiorno pur avendo al massimo la licenza media abbandonano il sistema di istruzione e formazione professionale. Il Mezzogiorno e, soprattutto, Campania, Calabria e Sicilia, presentano tassi di abbandono assai più elevati: nel 2020, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, gli early leavers meridionali erano il 16,3% a fronte dell’11,2% delle regioni del Centro-Nord.
Tra i fattori che determinano l’abbandono un ruolo importante riguarda la concentrazione degli studenti più fragili nelle stesse scuole, tipicamente gli istituti professionali; i ragazzi non troppo motivati si ritrovano in classe con compagni con le stesse difficoltà e così il rischio di dispersione aumenta. Sulla dispersione incide significativamente anche la condizione socioprofessionale dei genitori. La scuola non sembra alla fine in grado di colmare le lacune di chi proviene da situazioni più svantaggiate.
LA DAD
La “Didattica a Distanza” (DAD) resa sempre più diffusa dall’emergenza Covid ha rischiato di far venir meno il principio di equità che dovrebbe guidare ogni azione educativa e di favorire il radicamento delle differenze fra gli studenti, legate al loro ambiente domestico, caratterizzato dal possesso o meno di adeguati spazi e computer, ipad o strumenti tecnologici e dalle caratteristiche socioeconomiche delle famiglie.
I dati INVALSI evidenziano che l’8% degli studenti non possiede in casa né un computer per studiare né una connessione a Internet, mentre il 5,2% non può usufruire tra le mura domestiche né di un posto tranquillo per studiare né di una scrivania per fare i compiti. Inoltre, solo il 25,2% degli studenti ha almeno un genitore con titolo di studio superiore al diploma, meno del 10% ha entrambi i genitori laureati mentre il 53,5% non ha nessuno dei genitori che lavora utilizzando dispositivi tecnologici.
PROPOSTA
La strada suggerita dalla Svimez non può che essere una per provare a invertire la tendenza: puntare e utilizzare al meglio le risorse del PNRR che racchiude progetti ambiziosi, fra i quali spicca l’attenzione al tema del riequilibrio territoriale, con un’attenzione specifica al Mezzogiorno.
Il risultato atteso dovrà essere complessivo: riduzione delle differenze negli apprendimenti e nell’abbandono scolastico, incremento delle infrastrutture, miglioramento del personale della scuola e della ricerca, aumento delle immatricolazioni per rendere più competitivo il sistema universitario nel suo complesso, soprattutto nei percorsi formativi terziari professionalizzanti.