Pandemia e guerra Russia-Ucraina: la “tempesta perfetta”
Una “tempesta perfetta” sta mettendo in crisi il sistema produttivo italiano. Proprio così: una “tempesta perfetta”. E’ in questo modo che il vicepresidente nazionale di PI Confindustria Pasquale Lampugnale, analizzando i dati forniti dal Centro studi di Confindustria, (https://www.confindustria.it/home/centro-studi) ha definito lo scenario di questo inizio 2022 nel quale si trovano costrette ad operare le Pmi italiane, messe in un angolo prima dalle conseguenze degli ultimi due anni di pandemia e ora, nelle ultime settimane, anche dall’impatto del conflitto in Ucraina sull’energia e sulle materie prime.
Vediamo allora il punto di vista delle piccole imprese nell’analisi di Lampugnale, vicepresidente nazionale dell’associazione con delega ad Economia, Finanza e Fisco, nel suo intervento al master “Cris – Crisi Insolvenza Sovraindebitamento” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’ANALISI
Lo scoppio della guerra in Ucraina ha avuto un impatto pesantissimo sulla questione energetica e sul prezzo delle materie prime in generale. E lo ha avuto all’interno di uno scenario già pieno di grandi cambiamenti epocali. Si parla spesso di transizione ecologica e di transizione digitale come dei principali fattori del cambiamento che stanno attraversando le imprese, ma in questo momento ciò che colpisce particolarmente il mondo produttivo, in maniera trasversale e al di là dei settori, sono soprattutto l’intensità e la velocità con le quali questo cambiamento sta avvenendo.
Ragionare sulle difficoltà delle piccole e medie imprese per cercare possibili vie d’uscita da questa emergenza, significa preservare l’intero tessuto economico del nostro paese.
LA RISPOSTA DELLE IMPRESE
Fino all’ultimo nuovo shock derivante dal confitto Russia-Ucraina, le piccole e medie imprese italiane avevano saputo rispondere tutto sommato abbastanza bene all’emergenza pandemia, dimostrando capacità di resilienza grazie alla progressiva patrimonializzazione degli ultimi anni, che ha consentito di recuperare quasi tutte le perdite avvenute dopo la crisi finanziaria del 2007, e a una serie di strumenti normativi strutturali messi in campo dal Governo per gestire la crisi di liquidità, come ad esempio la moratoria sui debiti e le garanzie pubbliche.
CRISI ASIMMETRICA
I bilanci delle imprese hanno in ogni caso evidenziato criticità e debolezze strutturali del nostro tessuto produttivo, fra le quali la piccola e media dimensione e i bassi indici di redditività.
La pandemia ha quindi solo accelerato un processo di debolezza già esistente, facendo crescere da fine 2019 a fine 2021 la percentuale di imprese che hanno dichiarato perdite in chiusura d’esercizio dal 16 al 33% e incidendo sulla demografia delle aziende, il cui tasso di crescita è diminuito nel 2020 del 3,9%. Sono aumentate le imprese a rischio e quelle vulnerabili.
La crisi derivante dalla pandemia è asimmetrica: da una parte ha colpito alcuni settori in particolare, come quelli chiusi durante il lockdown e cioè ad esempio fiere, agenzie di viaggio, immobiliare, moda. Dall’altra ci sono settori che hanno visto invece incrementare i propri flussi finanziari.
Al momento registriamo una prospettiva di crescita a fine 2022 che difficilmente sarà del 4 per cento, come previsto a inizio anno, ma probabilmente risulterà di un punto percentuale in meno: il costo del petrolio è cresciuto dallo scorso settembre del 60%, quello del grano del 34%, quello del gas è raddoppiato in un mese ma – dato ancor più rilevante – è addirittura cresciuto 15 volte rispetto al febbraio 2020, appena due anni fa.
I TEMPI
Quanto questi rialzi dei prezzi saranno temporanei, o quanto piuttosto questa situazione durerà ancora a lungo? In un primo momento si è sperato che l’aumento dei costi dell’energia potesse in qualche modo rientrare entro fine anno, ma il prolungamento del conflitto russo-ucraino ci fa capire che purtroppo i rincari molto probabilmente resteranno attivi anche oltre, tanto per motivi legati alla scarsità di materie prime quanto per le speculazioni sempre dure a morire.
Le aziende non sono state in grado di ribaltare sul mercato l’aumento dei prezzi, e la maggior parte degli incrementi verificatisi durante il 2021 è stata assorbita dalle imprese, motivo per il quale i bilanci dell’ultimo anno, al netto di qualche speculazione o di alcuni specifici settori che potranno aver beneficiato della situazione, vedranno un ridimensionamento dei margini operativi.
Il pacchetto di sanzioni che ha interrotto i flussi commerciali ha messo in crisi interi comparti, come ad esempio quello siderurgico. E si è aggiunto a tutti gli altri elementi che sin dall’inizio della pandemia due anni fa hanno creato seri problemi nell’approvvigionamento delle materie prime, come ad esempio l’assenza dal lavoro per problemi sanitari, le difficoltà logistiche, il tema dei noli dall’Europa dell’Est e così via). Ecco perché, non a caso, parliamo di “tempesta perfetta” per le imprese.
ENERGIA E DIPENDENZA DALL’ESTERO
Nel settore energia il nostro Paese si trova particolarmente esposto, dal momento che rispetto alle altre nazioni siamo ancora più dipendenti dall’estero: il nostro mix energetico prevede infatti ben il 94% di importazioni. Nel gas, in particolare, dipendiamo dall’estero per il 48% mentre la Germania solo per il 16%. Il 40% del gas che importiamo, inoltre, proviene dalla Russia: è facile capire il nostro livello elevato di dipendenza, in un tale scenario di approvvigionamento.
C’è stata probabilmente in passato miopia politica e industriale perché non abbiamo investito sulle fonti rinnovabili, non abbiamo ragionato in termini di indipendenza energetica in prospettiva e non abbiamo ragionato in chiave europea. Fatto sta che il nostro Paese è oggi quello europeo più esposto a questi rischi, non avendo neanche una piccola quota di nucleare, e per tale motivo si sta cercando ora di rimediare sostituendo le vecchie forniture interrotte attraverso il TAP o altri canali come l’Azerbaigian.
GLI INTERVENTI
Cosa fare allora? Quali misure adottare? In primo luogo bisogna evidentemente investire nell’energia rinnovabile, perché la bolletta energetica nel comparto manifatturiero è cresciuta da 8 a più di 50 miliardi di euro e probabilmente si andrà ancora avanti su questa tendenza. Molte filiere produttive non sono più in grado di reggere questi costi.
In secondo luogo va affrontata la vera e propria scarsità di alcune materie prime.
Le prospettive per il 2022 non sono rosee. Anche se a fine anno fosse confermata la crescita stimata del Pil del 4%, arriveremmo comunque a quattro punti sotto il livello del 2008.
Lo scenario è dunque complesso, ed è difficile immaginare il futuro. Vanno fatte scelte di vera e propria politica industriale, come ad esempio mettere un tetto al prezzo del gas.
Come Confindustria ha evidenziato con forza in più occasioni, bisogna inoltre rivedere gli obiettivi della transizione energetica, perché una gran parte di quei costi è a carico del sistema industriale, e definire un nuovo piano di aiuti considerato che le misure predisposte negli ultimi giorni dal Governo contro il caro energia non convincono le imprese.
Tutto questo accade dopo due anni di pandemia, in un momento tra l’altro in cui sono state ridotte tutte le misure emergenziali che hanno provato a mantenere finora in piedi la nostra economia, come ad esempio la moratoria e le garanzie pubbliche.
Ecco perché, ancora una volta, tutto questo appare purtroppo come “la tempesta perfetta”.