Cambiamento climatico: perché non è un tema veramente caldo.
Caldo record: superata la mitica estate del 2003
Quando si arriva a parlare del meteo storicamente è perché non si ha molto altro da dire o perché l’etiquette di determinati ambienti impone di non affrontare temi che possano risultare divisivi. E allora si va giù con stagioni mezze o intere, senza dire veramente niente. Da un po’ di tempo, tuttavia, gli impatti del cambiamento climatico sono così evidenti che è difficile non considerarlo un tema vero, qualcuno autorevolmente sostiene in realtà che sia non “un” ma proprio “il” tema. Basta peraltro porre il naso fuori dal microclima da aria condizionata del proprio ambiente per misurarsi con temperature elevate come mai. Da record, ovviamente. A maggio segnala l’Osservatorio sulla siccità dell’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibe) si è superato finanche il caldo del mitico 2003. A giugno i termometri segnano livelli altrimenti raggiunti a luglio.
Ora si attendono temperature ancora più elevate che “incideranno sull’evapotraspirazione (evaporazione dal suolo e da fiumi, laghi e bacini; traspirazione delle piante), e più secca della media”.
Il cambiamento climatico interessa (quasi) solo chi lo subisce
Ma di là dal chiacchiericcio, il cambiamento climatico interessa? E se sì, a chi? Di certo la pandemia prima e l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin poi hanno determinato un forte ridimensionamento di campagne (Greta), politiche (Agenda Onu 2030), impatti mediatici. E oggi le popolazioni mondiali sembrano freddine nel manifestare interesse sul cambiamento climatico.
Più sensibili appaiono in America Latina, Europa meridionale e Asia-Pacifico. In alcuni Paesi si supera finanche la soglia di metà del campione: in Grecia e Portogallo raggiungono il 53% quelli interessati, poco sotto troviamo Cile e Filippine (52%).
Il sempre ricco e autorevole Digital News Report dell’Istituto Reuters nella sua edizione di quest’anno evidenzia poi come alla fine l’interesse è maggiore laddove i segnali del cambiamento climatico sono più evidenti (ma guarda un po’), mentre altrove l’attenzione scema: la Norvegia – sorpresa – non va oltre il 33%, la Francia si ferma al 36% gli Stati Uniti al 30%.
L’identikit dell’interessato e il ruolo dei giornali
Sul piano globale sono più interessati alle notizie sui cambiamenti climatici coloro che hanno un reddito e una istruzione più elevata. Forse sorprendentemente, tendono anche ad essere nella fascia di età più adulta, tra i vecchi, dice l’Istituto Reuters.
Il tema e la preoccupazione riguarda di più chi si professa di sinistra che di destra e nei Paesi dove vi è maggiore polarizzazione di giudizio la differenza tra questa e quella posizione politica risulta assai ampie: negli Stati Uniti il divario – interesse a sinistra, interesse a destra – è addirittura del 41%, un ulteriore segnale di preoccupazione che viene dal Paese Nord Americano.
Interessante è anche notare come il ruolo dei giornali sia considerato in maniera non univoca, da una parte c’è chi ritiene che i media dovrebbero sostenere di più e meglio, esporsi nell’evidenziare i rischi collegati al cambiamento climatico, come ha fatto, tra gli altri, in maniera evidente il Guardian. Sono di questo avviso in particolare gli intervistati in Cile (58%), Portogallo (48%) e Filippine (42%). Propendono per un ruolo neutrale con servizi che riportino questa posizione e anche quella opposta (…) di più in Germania (45%), Norvegia (44%) e Stati Uniti (42%). Le destre chiedono che ci sia imparzialità anche su un tema di grande evidenza empirica con percentuali assai elevate in Norvegia (60%) e – anche qui – Stati Uniti (69%).
Gli influencer climatici
Con i media tradizionali spesso tiepidi anche per “esigenze editoriali”, sulla questione climatica una ventata di freschezza e uno spiraglio per il futuro pare venire da influencer e personaggi pubblici, ai quali gli under 35 confessano di essere pronti a prestare particolare attenzione (anche tre volte di più che i boomer)
Alcuni nomi per avere un’idea: Vanessa Nakate, un’attivista per il clima dell’Uganda che conta centinaia di migliaia di follower tra Twitter e Instagram merita di certo attenzione; c’è poi lo YouTuber Jack Harries, che ha un canale con 3,7 milioni di iscritti e video molto impattanti; e ancora Jerome Foster, un giovane attivista per il clima, prima impegnato nelle proteste fuori ora come consigliere dentro la Casa Bianca (speriamo bene) che molto molto staccato sta sui 41.000 follower su Instagram.
Su TikTok c’è un collettivo che prova a interessare ai temi climatici i più giovani, si chiama, neanche a dirlo, Ecotok.
Tocca affidarsi a loro, a quanto pare, agli influencer climatici, speriamo portino buon vento.