7 gradazioni di rosso e perché è proprio rosso il Cappuccetto della favola. Un pezzo di colore.
Rosso. È il primo colore che vedono i bambini, a quanto pare.
È sicuro il colore più antico, considerato per un periodo l’unico vero colore tra il bianco e il nero, l’unico puro. Qualcuno lo usa per dipingere le pareti del ristorante perché metterebbe appetito. O altrimenti in bagno: lì almeno in Oriente qualcuno ritiene che possa creare disagio e così la toilette si libera prima.
Il rosso è il colore che vince. Perché infonderebbe energia e inciderebbe positivamente sulla psiche di chi lo indossa, come sembra dimostrare uno studio relativo alle Olimpiadi del 2004, in Grecia. Percentuali dal 55% fino al 62% (nel caso della lotta greco romana) di vittoria per gli atleti di rosso vestiti, rilevano due antropologi dell’Università di Durham, una delle migliori del mondo, Russell Hill e Robert Barton.
O forse perché incide sulla psiche anche degli arbitri (in Italia si direbbe che questo accade non tanto con il rosso quanto con il bianco e nero). Così verrebbe fuori da un test che ha coinvolto 42 giudici chiamati a esprimersi su sfide di arti marziali con contendenti molto equilibrati (in divisa rossa o blu). Chi veste di rosso vince di più per i giudici, nel 13% dei casi, rileva un gruppo di psicologi dell’Università di Monaco.
Non è il colore migliore per affrontare un negoziato, a meno che non si intenda litigare. Percepito come colore estremo, infatti, non avvicina in quelle fasi. Avvicina, invece, o può avvicinare sul piano più strettamente confidenziale. La passione è rossa, rosso è il sangue e la rivoluzione, rosso è il vino, rosso è vietato e quel che crea appeal, a luci rosse è il film. Ma come per tutti i colori, a monte, la distinzione principale riguarda in primis la tonalità e ancor più l’ambivalenza: rosso è bene e male.
Può essere una cosa o l’altra. È un colore doppio, ambivalente. Basta vedere tante raffigurazioni assieme di Gesù e di Giuda, vestiti spesso con gli stessi colori.
Pure Satana e i cardinali (e per un periodo lo stesso Papa) vestono rosso, spesso rosso Prada.
Già nell’antico testamento è associato ora al peccato, ora alla potenza e all’amore. A differenza di altri colori che sono più giovani il rosso, infatti, è colore assai antico.
Rosso Antico
Sembra che il nome stesso di Adamo, in ebraico, corrisponda a rosso, nella accezione di vivo e bello e chi ancora oggi porta quel nome lo potrà confermare. Già nell’antichità, però, rosso significava poco, dipendeva da che tipo di rosso fosse. E questo a sua volta dipendeva e dipende anche da come si ricava il colore. Se trentamila anni prima della nascita di Cristo verosimilmente si utilizzava per lo più la terra ocra, come emerge dalle Grotte Chauvet, segnala l’antropologo e storico Michel Pastoreau, nel neolitico si afferma l’uso delle radici della robbia, pianta favolosa ora quasi scomparsa. E poi l’ossido di ferro che renderà Pompei un luogo dello spirito e un rosso specifico, divino e immortale #rossopompeiano. E il solfuro di mercurio. Tra gli antichi romani è il colore ambito, simbolo di potere e di importanza sociale, fa status e diverse sono le modalità per ricavarlo.
In particolare se il rosso della robbia è quello popolare, meno brillante, alla portata di tutti, ve ne è un altro riservato a condottieri e imperatori: si ricava dalla porpora reale della murice, una conchiglia che si trova sempre più raramente, permane sotto la voce sconciglio/sconciglia in prelibate pietanze servite sull’isola di Ventotene, per esempio (Sconciglie indicano lì anche le due rocce in un angolo riposto di mare) . Per la classe intermedia, diremmo borghese, si impone poi un rosso ricavato dalla femmina di un insetto: il chermes. In questo caso, nonostante alcune recenti tendenze europee, non se ne consiglia la ricerca nel menù. Nel tempo soprattutto nel tessile si definiscono delle specializzazioni, non solo tra differenti colori, ma anche tra diversi modi di ottenere lo stesso colore, il rosso; in generale si afferma una tendenza a considerare quello brillante positivo, vincente; l’altro poco affidabile, tendente al negativo. Tutto questo, tuttavia, riguarda per lo più l’Occidente. Non ovunque il rosso evoca e significa alla stessa maniera. Escluso forse solo il rosso mondiale, il rosso Ferrari.
Il significato più o meno consapevole che andiamo ad attribuire ai colori, naturalmente, dipende da quello che evocano e da cosa di base colorano. Se il sangue è tale ad ogni latitudine, al netto di permanenze di pretese bluastre, non ugualmente accade con la vegetazione, la fauna, i tramonti. Accade così che se gli eschimesi distinguono sette diverse tonalità di bianco (distinguono, non codificano che là si sta tutti facilmente più larghi), per le tribù maori i rossi sono più di cento. Una delle migliori cantine al mondo, direbbe divertito l’enologo. E in contesti come quello russo, con un clima rigido eccetera eccetera, non sorprende che rosso tenda a coincidere con bellezza, tanto che la Piazza Rossa pare si possa pure tradurre con la Piazza Bella. I codici che abbiamo assunto in Occidente, poi, cambiano decisamente ad altra latitudine: dire film a luci rosse in Cina non significa molto e si presta a esilaranti misunderstanding. Per loro quel colore è il giallo (i film a luci gialle!), mentre rosso è il colore del matrimonio (c’è filmino e filmino, meglio non fare confusione).
In alcuni paesi africani, poi, pare che il rosso simboleggi il lutto, forse per ragioni simili a quelle invalse presso antiche popolazioni teutoniche che usavano dipingere di rosso il corpo del defunto come a infondergli la vita, l’energia dell’esistenza.
Non vi è un significato univoco di nulla o quasi, valido a ogni latitudine, insomma, sicuramente non del rosso. Né vi è univoca spiegazione sul perché sia rosso il cappuccetto della fiaba.
Perché cappuccetto è rosso
Sono tre le principali ipotesi sul significato del rosso del cappuccetto, la fiaba che ha impegnato stuoli di studiosi delle discipline più disparate nella ricerca ontologica, eziologica, psicologica, antropologica, sociologica, politica, su trama e simbologie recondite. Poi ve ne è una quarta, singolare, e infine quella che, essendo la più semplice, forse coglie un punto essenziale e dirimente.
Rosso come il sangue, dice una versione. La fiaba che vuole una bambina mandata – sola soletta – dalla madre ad attraversare un bosco, avrebbe per chi sostiene questa ricostruzione una delle sue prime versioni databili poco più di una decina di secoli fa. In quel tempo complici carestie e grandi carestie il cannibalismo, qui simboleggiato attraverso il povero lupo (al quale tocca sempre la parte del cattivo), è un fatto reale e temibile. Il rosso si collegherebbe a quello, al cannibalismo e al sangue.
Una seconda possibilità è più centrata sul bosco come transizione all’età adulta, come transizione interiore e anche fisica alla nuova età. Il cappuccio rosso (simbologia peraltro presente anche nei munacielli di ogni latitudine) rappresenterebbe l’ingresso nell’età adolescenziale, il flusso mestruale e anche qui, quindi, in altro modo, il sangue.
Una terza ricostruzione invece riconduce il rosso al peccato. Sarebbe un monito per le ragazze: non aggiratevi da sole per i boschi che potreste incontrare sconosciuti e malintenzionati. I lupi poi vi mangiano e – nella prima versione della fiaba – finisce là, non c’è ancora neanche il cacciatore aggiunto dai fratelli Grimm (il maschio che arriva e salva, si dirà poi in una rielaborazione femminista). Si muore e punto (nella versione di Charles Perrault). Questa ricostruzione fa perno anche su un elemento storico specifico: le prostitute in Francia per farsi riconoscere indossavano indumenti – una mantella in particolare – rossi, per l’appunto. State attente ragazze e soprattutto non vi prostituite, sarebbe l’avvertimento di fondo.
Singolare è poi la versione che collega il colore del cappuccetto ai giorni nei quali si sviluppa la storia: quelli della Pentecoste e dello Spirito Santo, il rosso avrebbe, pertanto, in questa visione delle cose una radice liturgica (rosso è il colore dei paramenti sacri in quei dì).
Tutte ricostruzioni sostenibili e che potrebbero avere degli elementi di verità. Quella che appare più semplice e forse più efficace la propone anche qui Pastoreau. Tutti sarebbe riconducibile a tre questioni basilarmente: la trama di fondo di cappuccetto rosso si ritrova, con pochi mutamenti, già nell’antichità; i bambini e le bambine, poi, spesso indossavano già secoli e secoli fa dei copricapo colorati, perché così è più facile controllarli anche a qualche metro di distanza. E il cappuccetto sarebbe rosso per una ragione molto semplice: è il primo vero colore, tra il bianco e il nero, come detto. E il bianco, il rosso e il nero rappresentano una trilogia ricorrente, sempre e da sempre. Cappuccetto rosso va dalla nonna bianca e incontra il lupo nero. Al corvo nero sfugge il formaggio bianco che finisce tra le zampe di una volpe rossa. La stessa Biancaneve ha in dono una mela rossa da una strega nera. Di filare fila. Sul significato psicologico, politico, eziologico, ontologico, sociologico, antropologico, retorico, ornitologico, il dibattito resta aperto, ognuno scelga la versione che più gli sta a tono.