Elezioni: fatti i candidati, due idee per Napoli (copyright Masullo et Giovannini)
Dalla stagione dei sindaci alla politica rasoterra
Ci fu un tempo la gloriosa stagione dei sindaci, poi venne una progressiva regressione fino ad attuali primi cittadini che governano città di respiro internazionale e postano sui social i rappezzi di asfalto sulle buche, quale elemento qualificante e distintivo, cifra apprezzabile della propria statura politica.
Questo è diffusamente il livello. Risalire da questa politica rasoterra non è facile mai e ora lo è anche meno. Tuttavia un tentativo va fatto tanto più che nei prossimi mesi si vota in numerose città, a cominciare dalle tre più grandi: Roma, Milano, Napoli.
Di là da schieramenti, candidati, alleanze, desistenze, cointeressenze, può essere l’occasione per andare oltre il chiacchiericcio stantio, gli attacchi personali da liti condominiali, le proposte utilitaristiche che guardano a paure diffuse o a target di elettori ben profilati. Sì, certo, occorre garantire la soluzione dei problemi enormi (debito), le questioni nuove (digitale) e storiche (Bagnoli), ma occorre anche provare a volare alto e (far) sognare. Quale migliore occasione che una campagna elettorale?
Per Napoli in particolare, fatti i candidati vi è una questione atavica e almeno due proposte concrete.
L’atavica questione dei centri decisionali al Sud
I centri decisionali sono tutti sostanzialmente al Nord. L’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare? É a Parma. L’ Istituto Italiano di Tecnologia? A Genova. La sede italiana dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro? A Torino. Dell’Ocse? A Trento. Commissione e Parlamento Europeo, oltre che a Roma, sono a Milano, come mille altre cose. Milano è città candidata a ospitare tutto. Tutto. Non solo eventi. Quasi venti anni fa, quando si profilò l’opportunità di una Banca Euromediterranea per dialogare di più e meglio – e più concretamente – con il Nord Africa, si candidò finanche a quella. Più recentemente, causa Brexit e trasloco conseguente, è stata la città italiana candidata per ospitare l’Agenzia Europea del Farmaco, soffiata per una punta d’ago da Amsterdam al sorteggio. Ora è candidata a ospitare una delle tre sedi centrali del Tribunale Unificato dei Brevetti. Qualsiasi centro decisionale possa prendere forma in Italia di default la candidata è Milano, solo in casi eccezionali la scelta cade su un’altra città, di solito mai sotto l’Emilia Romagna. Sia chiaro, niente piagnistei, semplicemente pochi fatti messi in fila e un corollario: un riequilibrio della presenza dei Centri Decisionali – nazionali e internazionali – lungo tutta la penisola favorirebbe anche una riduzione della conflittualità interna per macroaree, quella che ha cambiato a volte linguaggio ma che nella sostanza non cenna a diminuire.
Due proposte per Napoli
A porsi di buona lena, spulciando-spulciando sedi che prospetticamente vanno assegnate dall’Europa ne emergerebbero, altre potrebbero riguardare altri consessi internazionali. O nazionali. C’è sempre un Centro Decisionale che nasce o che si sposta al quale prestare attenzione. Indipendentemente dalle singole finalità, dalla mission, qualsiasi Centro Decisionale porta con sé alcuni elementi positivi facilmente intuibili: prestigio, caratura internazionale, effetti diretti magari relativi in termini di investimenti e di occupazione ma molto elevati in termini di relazioni conseguenti e di opportunità potenziali su tanti fronti, compresi i collegamenti internazionali, fisici (infrastrutture) e digitali (network). Più nello specifico vi sono, tra le altre, due proposte che possono essere agevolmente recuperate e cavalcate, per Napoli specialmente.
Centro Internazionale per la Pace
La prima proposta è un’idea del compianto Aldo Masullo e punta a rendere Napoli la Capitale mondiale della Pace. La città dove può prendere forma una iniziativa di largo respiro che coinvolga tutti gli attori, locali e internazionali, punti su formazione, aggregazione, politica nel senso alto della parola, composizione dei conflitti.
Napoli come luogo più adatto per un centro decisionale sulla “pace”, più della stessa Gerusalemme. A Claudio Scamardella, infatti, Masullo già nel 2008 ribadisce che “Sì, Napoli potrebbe avere questa grande “missione”, come si dice oggi. In tutto il mondo non c’è una città della Pace. “Città della pace” significa un luogo permanente d’incontro, in cui – per riprendere ancora una volta le parole di Giovanni Paolo II – vi si esercita e si educa a non avere paura (…). Essere al centro del Mediterraneo è carta strategica decisiva. E il più grande molo proteso nel Mediterraneo è Napoli, come se si affacciasse a tender la mano a tutte le altre terre rivierasche”.
Far sorgere a Napoli un Centro Decisionale per la Pace intitolato ad Aldo Masullo magari è operazione assai complessa, difficile da portare a casa, ma che vale la pena perseguire. E che distanzia a sufficienza dall’ottica del tombino e dalla politica rasoterra.
Un Istituto di Studi sul Futuro per favorire scelte migliori in tema di policy
“L’Italia è l’unico Paese che non ha un Istituto pubblico di studi sul futuro” evidenzia poi Enrico Giovannini, nel dialogo a due voci con Fabrizio Barca raccolto in “Quel mondo diverso. Da immaginare, per cui battersi, che si può realizzare”
La Francia ha il suo Centro di Analyse Strategique, la Gran Bretagna una propria Intelligence Unit. L’Italia no. Nonostante lo stesso Giovannini lo avesse proposto da portavoce dell’Asvis, l’Associazione per lo Sviluppo Sostenibile), prevedendola alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio.
In un’era all’insegna dei data in ottica predittiva, applicati anche per decidere quanti pacchi di pasta comprare per tenerli in dispensa, non è una idea peregrina che un Paese si doti di una struttura che abbia la funzione di provare ad evidenziare possibili scenari futuri ai fini della propria policy.
Certo, non è una idea nata a Napoli, né per Napoli, ma che ai piedi del Vesuvio avrebbe una sua perfetta collocazione. Sarebbe un modo anche simbolico per dare la sensazione di uno slancio oltre il presente. E quale migliore sede che una città che – salve le sempre rare e favolose eccezioni – appare da lungo tempo sospesa in una immobile bolla atemporale? Colpa della lingua napoletana, dicono i fatalisti, che non coniuga i verbi al futuro, usa sempre il presente anche per quel che accadrà. L’azione, il verbo al futuro non è contemplato. Come in tante lingue e dialetti del Sud, tutto appare ancorato a un solo tempo, una sorta di “presente infinito”. Vediamo se domani niente cambia o qualcosa cambierà, chissà.