Cosa c’è nel Pnrr su borghi e aree interne
Pnrr e obiettivi trasversali
In questa nuova, piccola, bibbia laica sul futuro del Paese dall’acronimo ostico alla pronuncia (Pnrr) vi sono delle linee larghe ma chiare di indirizzo e con esse dotazioni finanziarie, indicazione su competenze e azioni successive.
Tanto le aree interne quanto i borghi sono naturalmente interessati trasversalmente dagli obiettivi generali del piano, ovvero: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.
Che attenzione riserva il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza alle aree interne? E ai borghi?
Che il 45% di investimenti nella connettività a banda ultralarga secondo le previsioni avverrà nelle regioni del Mezzogiorno o che, in tema di digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella Pubblica Amministrazione, per esempio, si riservi in un apposito capitolo uno stanziamento (160 milioni di euro) di supporto alla trasformazione della Pubblica Amministrazione locale ha riflessi particolari, evidentemente, su aree interne e su borghi.
Così come il completamento di alcune infrastrutture, a cominciare dalla tratta di alta velocità ferroviaria Napoli-Bari, che sarà percorribile in 2 ore, rispetto alle attuali 3 ore e 30 minuti. Per via delle stazioni intermedie, interne, non potrà che determinare effetti anche su borghi e zone lontane dalla costa.
In tema di economia circolare e agricoltura sostenibile, poi, il Pnrr prevede e sostiene la creazione di trenta “green communities”, “per un utilizzo equilibrato di risorse quali acqua, boschi, paesaggio, attraverso piani di sviluppo sostenibili dal punto di vista “energetico, ambientale, economico e sociale”, con una dotazione di 140 milioni di euro.
Pnrr, Borghi e Aree Interne
A borghi e aree interne, tuttavia come è necessario, il Pnrr pare voler riservare anche una specifica attenzione, nella consapevolezza che “le Aree Interne costituiscono circa tre quinti dell’intero territorio nazionale, distribuite da Nord a Sud, e presentano caratteristiche simili: a) grandi ricchezze naturali, paesaggistiche e culturali, b) distanza dai grandi agglomerati urbani e dai centri di servizi, c) potenzialità di sviluppo centrate sulla combinazione di innovazione e tradizione”.
Vi è infatti un intero capitolo dedicato alla “Rigenerazione di piccoli siti culturali, patrimonio culturale, religioso e rurale”, con una dotazione di 2,72 miliardi di euro.
Poco più di un miliardo è destinato alla “Attrattività dei borghi” e, pur rinviando a un Piano Nazionale Borghi – la cui attuazione è in capo al Ministero dell’economia e delle finanze, assieme agli altri ministeri competenti – le linee di indirizzo sono definite.
Recupero del patrimonio storico, riqualificazione degli spazi pubblici aperti (es. eliminando le barriere architettoniche, migliorando l’arredo urbano), creazione di piccoli servizi culturali anche a fini turistici è il primo filone.
Ad esso si aggiungono la creazione e promozione di nuovi itinerari (tematici, storici) e visite guidate, oltre a “sostegni finanziari per le attività culturali, creative, turistiche, commerciali, agroalimentari e artigianali, volti a rilanciare le economie locali valorizzando i prodotti, i saperi e le tecniche del territorio”.
Attenzione, poi, alla “tutela e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale” e dell’identità dei luoghi, con il recupero anche delle oltre 5mila tra ville, giardini e parchi storici protetti, oltre che di edifici rurali e strutture agricole, nell’ottica della rigenerazione.
Miglioramenti dovrebbero esserci anche sul piano, più banalmente, della viabilità anche grazie al “trasferimento della titolarità di ponti, viadotti e cavalcavia sulle strade di secondo livello a quelle di primo livello (autostrade e strade statali), in particolare dai Comuni, dalle Province e dalle Regioni allo Stato”.
La salute, le farmacie rurali e le Case di Comunità
E – a quanto pare – si intende intervenire anche su altri due fronti essenziali e spesso deficitari: i servizi e le infrastrutture sociali di comunità e la tutela della salute con servizi di prossimità.
Nascono le Case di Comunità, ovvero strutture fisiche (1.228 entro il 2026) con medici e altro personale, per la prevenzione e l’assistenza, “un punto unico di accesso (PUA) per le valutazioni multidimensionali (servizi socio-sanitari) e i servizi che, secondo un approccio di medicina di genere, dedicati alla tutela della donna, del bambino e dei nuclei familiari secondo un approccio di medicina di genere. Potranno inoltre essere ospitati servizi sociali e assistenziali rivolti prioritariamente alle persone anziani e fragili, variamente organizzati a seconda delle caratteristiche della comunità specifica”.
Si consolidano le farmacie rurali, convenzionate dei centri con meno di 3.000 abitanti, per erogare servizi sanitari territoriali di prossimità. Si prevedono risorse finanziarie atte a incentivare “l’adeguamento delle farmacie al fine di rafforzarne il ruolo di erogatori di servizi sanitari, (i) partecipando al servizio integrato di assistenza domiciliare; (ii) fornendo prestazioni di secondo livello, attraverso percorsi diagnostico-terapeutici previsti per patologie specifiche; (iii) erogando farmaci che il paziente è ora costretto a ritirare in ospedale; (iv) monitorando pazienti con la cartella clinica elettronica e il fascicolo farmaceutico”.
Pnrr, aree interne e i rischi reali
Il Pnrr prevede ancora tanto altro. Un libro dei sogni? Le scottature del passato sono tante e determinano una necessaria cautela e qualche diffidenza. Di certo però a differenza di altri casi qui la dotazione finanziaria complessiva è sicura e imponente. E la visione di futuro avrà limiti e criticità, ma ha il pregio della chiarezza e dell’ottica integrata. Piuttosto sarà necessario verificare nei fatti che nei percorsi che portano dalla definizione degli obiettivi all’attuazione delle opere non intervenga, come troppo spesso è capitato in passato, quel sodalizio delinquenziale tra attori opachi “forestieri” e piccoli profittatori locali con le loro clientele.
Un caso di scuola – ma tanti ce ne sono ahimè anche più recenti – è la ricostruzione post terremoto in Irpinia. Come si legge nella relazione conclusiva datata 1990 della Commissione Parlamentare di Inchiesta presieduta dal futuro Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro su 70mila miliardi di lire stanziati ben 58.600 miliardi (oltre l’80%!) sono “finiti nel nulla” o sono stati sperperati.
Un eufemismo parlamentare a significare che finirono in via diretta o indiretta a quella larga cricca del malaffare che teneva assieme imprese senza scrupoli specificamente del Nord, criminalità organizzata napoletana, diffuse forme di clientelismo di basso cablaggio indigene, irpine. Insomma, se c’è un rischio non è se saranno disponibili risorse, al più si può discutere di quante effettivamente favoriranno borghi e aree interne. Ma il rischio vero è un altro e riguarda piuttosto quanto strette saranno le maglie per evitare che quelle risorse finiscano nelle mani sbagliate.